lunedì 19 agosto 2019

LA PERCEZIONE DEL CORPO NEGLI ADOLESCENTI PASSA ATTRAVERSO GLI OCCHI

UN CASO DA RACCONTARE

“Guardarmi allo specchio…? Magari!”

Con queste parole, vi presento la protagonista del Caso di questa settimana che ho ribattezzato Stefania: una ragazza di 16 anni che ho avuto la fortuna d’incontrare, coccolare e soprattutto orientare in un difficile momento della sua giovane età; un momento, chiamato Adolescenza, in cui la percezione della realtà interna (ed interiore) finisce col confondersi con quella della realtà esterna (ed esteriore) creando una sovrapposizione e, alle volte, una confusione di istanze e priorità. In un suo bellissimo saggio, il sociologo della famiglia Sgritta afferma indelebilmente,  sebbene  paradossalmente, che: "L'adolescente e' ciò' che la società gli consente di essere"; facendo trapelare l'idea di un'adolescente troppo assertivo e poco proattivo per entrare in discussione con genitori e società. Allo stesso modo, I sociologi Charmet e Rosci, sostengono che: " E''straordinariamente difficile distinguere per l'adolescente ciò che e'interno da ciò che e' esterno alla sua mente"; e, pertanto, gli adolescenti hanno bisogno di adulti al loro fianco che gli mostrino la differenza. Vi potrebbe interessare, con molta probabilità, la lettura dei due rispettivi saggi Il primo: "La famiglia tra le generazioni" del 1993; il secondo: "La seconda nascita" del 1991. adesso cerchiamo di spiegarci meglio!

PARLIAMONE

E’ difficile considerare l’ipotesi che un adolescente possa avere bisogno di “riprogrammare” la sua vita in un momento in cui la sta programmando; in cui, come sostiene Freud, la sua vita sta evolvendo verso la strutturazione adulta anche in base al contesto in cui vive e agli esempi degli adulti con cui si rapporta e che finiscono con il diventare, inevitabilmente, modelli comportamentali da imitare. Il caso di Stefania, come quello di altre ragazze e ragazzi della sua età, è quello di un’adolescente che vive ogni giorno il confronto, che diventa scontro, con sua madre e con la figura materna: una figura che, dall’essere di accudimento e contenimento delle sue derive psicologiche; diventa per Stefania un riferimento da imitare e superare. Ancora secondo Freud, infatti, si parla di Imagines del padre, della madre e dei fratelli, di cui quella del padre rimane comunque la più importante. L’impulso affettuoso e ostile verso il padre sussiste, infatti, per tutta la vita.

L’anelito di Stefania verso questo traguardo finisce gradualmente, ed impercettibilmente, col distorcere la percezione di se stessa e della sua immagine al punto che non riesce più ad incrociare il suo sguardo e la sua immagine nello specchio. Finisce con l’evitare addirittura di guardarsi pur di non constatare il cambiamento del suo corpo al passaggio del tempo, perché un siffatto cambiamento la obbliga a confrontarsi con sua madre e, ciò che è peggio, a subire una paralisi verbale e comportamentale tutte le volte che la disinvoltura della madre e la sua capacità di minimizzare e “non vedere” il suo problema; la fanno sentire ancora più insignificante e, come lei dice, “ invisibile”. Possiamo dire che l’atteggiamento di Stefania è quello dell’adolescente ascetica che, come ha teorizzato Anna Freud, si difende dalla realtà angosciosa dell’accettazione della sua immagine, attraverso la negazione stessa del suo bisogno corporeo di guardarsi nello specchio, secondo la definizione più psicologica che biologica data da Winnicot che ebbe il merito di aver sostituito alla pulsione freudiana il concetto di bisogno psicologico ed esistenziale. Di rimando, per suo padre, Stefania è bellissima e non ha nessun motivo per sentirsi insignificante e non meritevole d’attenzioni e corteggiamento: “Sei la mia principessa!”, le ha sempre detto questo babbo–mammo a cui Stefania è così legata.

Ebbene, cosa fa oggi, nell’era postmoderna e multimediale, di un adolescente una ragazza o un ragazzo soddisfatto della sua vita e in grado di progettare il suo futuro? Il fatto di aver provato sin da bambino, grazie alle cure materne, la sensazione di essere, una sensazione che il bambino sperimenta nel contatto con il corpo ed in particolare con il seno materno. Egli, infatti, essendo un’unità con la madre e percependosi come un tutt’uno con il suo corpo, ha bisogno di sentire un corpo che è, non un corpo che fa. L’esperienza della sensazione di essere permette al bambino di “sentirsi come”, mentre l’impossibilità di sperimentare tale sensazione porta il bambino a “dover fare come”. Una madre che risponde solo parzialmente, o non è affatto responsiva nei confronti dei bisogni del bambino, porta all’annichilimento dell’io e quindi alla costruzione di un Falso Sé, che costringe il bambino prima, e l’adolescente poi, a vivere secondo i ritmi della realtà esterna e non secondo i propri. Il Falso Sé, che nasconde il Vero Sé, è un Sé non autentico a cui il bambino e l’adolescente ricorrono per adattarsi all’ambiente e che può costituire la base per lo sviluppo di psicopatologie (continua).

Approfondiremo ancora questo argomento, ma intanto vi do appuntamento a lunedì prossimo, quando vi rivelerò alcuni consigli utili a gestire situazioni simili.
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A lunedì!

Silvia De Luca counselor
tel. 370.3098866
e-mail: silviajoledeluca@gmail.com
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